28 anni dalla morte di Valerio Verbano

Roma 22 febbraio 1980

"Siamo amici di suo figlio e
vorremmo parlargli". Il 22 febbraio del 1980 a Roma tre ragazzi armati
e con il volto coperto fanno irruzione in casa Verbano, al quarto piano
di Via Montebianco 114 al quartiere Montesacro. Legano e imbavagliano
il padre e la madre e attendono l’arrivo del loro unico figlio Valerio,
18 anni, attivista di Autonomia Operaia, che in quel momento è ancora a
scuola. Ai genitori dicono che devono solo fare delle domande a
Valerio, vogliono sapere dei nomi. Sono le ore 13 circa.

Passano
50 minuti, durante i quali gli assassini rovistano nella camera da
letto di Valerio, 50 minuti in cui la madre spera che il figlio faccia
un incidente con la vespetta e non rientri a casa. Ma Valerio torna.
Appena apre la porta i genitori sentono i rumori di una colluttazione,
le grida del figlio e uno sparo soffocato. I tre assassini scappano di
corsa per le scale, quasi subito accorrono i vicini che slegano i
genitori e soccorrono Valerio, ma ormai non c’e’ più niente da fare,
l’unico proiettile e’ entrato nella spalla sinistra, dall’alto verso il
basso e ha reciso l’aorta uccidendo il ragazzo. Nella fuga i banditi
lasciano un paio d’occhiali da sole, un bottone, una pistola con
silenziatore e quasi inspiegabilmente un guinzaglio per cani.

L’omicidio
di Valerio Verbano è uno dei grandi enigmi degli anni di piombo. Un
assassinio dalle mille ipotesi rivendicato sia da destra che da
sinistra, che apre squarci improvvisi su anni inquieti  e che rimane
ancora oggi insoluto. “ Molti sono stati i pentiti di destra e di
sinistra che hanno cercato di ricostruire le dinamiche che avvenivano
in quegli anni. Solo alcuni omicidi non hanno trovato una paternità
nonostante le numerose confessioni rese da moltissime persone e tra i
pochissimi quello di Valerio Verbano” (Antonio Capaldo, magistrato).

Le rivendicazioni
Lo
stesso giorno dell’omicidio arrivano due rivendicazioni la prima è di
una formazione di sinistra “Gruppo Proletario Rivoluzionario Armato”
che afferma di aver ucciso Verbano perchè è una spia, un delatore, un
“servo della polizia” anche se dicono “è stato un errore, volevamo solo
gambizzarlo”. Un’ora dopo verso le 21 arriva una seconda rivendicazione
dei “Nuclei Armati Rivoluzionari, avanguardia di fuoco” (NAR), la sigla
di punta dell’estrema destra:

“Abbiamo giustiziato Valerio
Verbano mandante dell’omicidio Cecchetti. Il colpo che l’ha ucciso è un
calibro 38. Abbiamo lasciato nell’appartamento una calibro 7.65. La
polizia l’ha nascosta”. In tarda serata arriva un’altra telefonata del
Movimento Popolare Rivoluzionario, una formazione di destra.

Il
giorno dopo arrivano le smentite la prima è del “Gruppo Proletario
Rivoluzionario Armato” con un volantino, poi quella dei NAR: “Non
avevamo nessun interesse a suscitare una guerra tra movimenti
rivoluzionari”. Un altro volantino recapitato verso mezzogiorno, sempre
dei NAR (“comandi Thor, Balder e Tir”), non parla esplicitamente di
Verbano ma del “martello di Thor che ha colpito a Montesacro”. Dieci
giorni dopo compare un altro volantino a Padova ancora a firma NAR che
smentisce categoricamente qualsiasi coinvolgimento nel delitto Verbano.
Ma per gli inquirenti la rivendicazione più probabile è la prima
telefonata dei NAR, che fa a riferimento al calibro 38. Quando arrivò
quella telefonata infatti non c’era ancora la conferma del medico
legale sul calibro che aveva ucciso Valerio. Come potevano saperlo?

Valerio
Valerio
era figlio unico, si interessava di politica, ma in casa, ricorda la
mamma Carla , non se ne parlava mai. I genitori non erano dunque a
conoscenza del coinvolgimento e del grado d’impegno di Valerio. Il
rapporto in casa era comunque tranquillo Valerio studiava, usciva con
gli amici, aveva la sua fidanzata: un ragazzo normale come tanti.

La
militanza politica di Valerio Verbano comincia nel 1975 al liceo
scientifico Archimede sezione D. Una militanza attiva che non evita lo
scontro fisico e diretto con l’avversario. Valerio va in palestra
pratica il judo e il karate dall’età di otto anni. I suoi interessi
comprendono anche la musica: i Beatles i Pink Floyd e la Roma, la sua
squadra, una vera fissazione. La fotografia è una sua altra grande
passione che metterà presto al servizio del suo impegno politico.

Ma
il 20 aprile 1979 lo arrestano, viene sorpreso in un casolare
abbandonato insieme a quattro amici mentre fabbricano ordigni
incendiari. Le istruzioni sono contenute nel libro Il sangue dei Leoni
edito da Feltrinelli nel 1969, un manuale di guerriglia urbana molto
diffuso all’epoca. Nella perquisizione della sua stanza gli agenti
trovano anche una pistola: una berretta 765 con la matricola limata. I
genitori cascano dalle nuvole quando vedono la pistola. "Le armi
all’epoca giravano, ne giravano parecchie, era facile procurarsele. Era
difficile non accorgersene" ricorda un amico. Valerio sconta sette mesi
a Regina Coeli. Quando entra in carcere ha diciotto anni e due mesi, è
forse il detenuto più giovane di tutto il carcere romano.

Il Dossier di Valerio
Durante
la perquisizione gli agenti trovano infatti anche una grande quantità
di materiale, un archivio con centinaia di foto e nomi di militanti
dell’estrema destra romana. Un lavoro iniziato nel 1977 quando Valerio
aveva soltanto sedici anni. Valerio aveva formato il collettivo
autonomo dell’Archimede, un gruppo che si specializza, ricorda un amico
: “ nella controinformazione, documentavamo, fotografavamo..…eravamo
organizzati come un piccolo servizio segreto, nel nostro piccolo
estremamente efficiente. Ci avvicinavamo a manifestazioni dell’estrema
destra o ai loro luoghi di ritrovo. Scattavamo foto e poi cercavamo
d’identificarli…veniva fatta la raccolta di tutti gli articoli di
giornale che parlavano dell’estrema destra, degli arresti. Avevamo un
archivio fotografico e uno storico con tutti i fatti dell’estrema
destra e degli informatori infiltrati negli ambienti dell’estrema
destra. Tutto finiva in un quaderno in cui venivano catalogate tutte
queste persone…in quel momento c’era la sensazione che ci potesse
essere da un momento all’altro un colpo di stato della destra in
Italia. Quindi ci si doveva preparare a contrastarlo in qualche
maniera. Avevamo l’esempio del Cile, dell’Argentina. I dati servivano
se succedeva qualcosa”.

Dell’esistenza di questo "dossier" è a
conoscenza, e probabilmente lo ha tra le mani, anche un giudice che
indaga sull’eversione nera, Mario Amato. Il giudice Amato morirà per
mano dei NAR il 24 giugno 1980 a Roma in Viale Jonio a pochi passi
dall’abitazione di Valerio Verbano. 

Roma: i quartieri  Montesacro e Trieste
La
Roma di quegli anni è una città dura e violenta dove ogni giorno si
scontrano ragazzi di destra e di sinistra armati e pronti allo scontro.
I quartieri su cui ruota questa storia e anche molte altre di quel
tragico periodo sono due: Montesacro, zona rossa per eccellenza e
Trieste roccaforte dei giovani di destra di Terza Posizione, nel mezzo
quasi a segnare una divisione ideologica e geografica scorre un piccolo
fiume l’Aniene, affluente del grande Tevere.

Ci si accanisce
contro le sezione dei rispettivi partiti di riferimento: PCI e MSI.
Centinaia di azioni intimidatorie da l’una e l’altra parte per il
controllo del territorio, per non permettere al nemico di prevalere.

All’interno
di questi confini dal 1976 al 1983 si consumano ben nove omicidi a
sfondo politico: Vittorio Occorsio magistrato, 45 anni, 10 luglio 1976,
ore 8.15, via Mogadiscio; Stefano Cecchetti, studente, 19 anni, 10
gennaio 1979, ore 19.30, Largo Rovani ; Francesco Cecchin, 17 anni,
studente, 28 maggio 1979, ore 24, Via Montebuono ; Valerio Verbano
studente, 18 anni, 22 febbraio 1980 ore 14.00, via Montebianco; Angelo
Mancia, fattorino, 27 anni, 12 marzo 1980, ore 8, Via Federico Tozzi;
Franco Evangelista, appuntato di Polizia, 37 anni, 28 maggio 1980 ore
8.10, Corso Trieste; Mario Amato, 42 anni, magistrato, 23 giugno 1980,
ore 8.00, Viale Jonio; Luca Perucci, studente, 18 anni, 6 gennaio 1981
ore 17.15, Via Lucrino; Paolo di Nella, studente, 20 anni, 2 febbraio
1983, ore 22.45, Viale Libia.

Le indagini
Gli
inquirenti sembrano partire con il piede giusto. Un vicino di casa ha
visto quei ragazzi, viene costruito un identikit. Afferma anche di aver
visto Valerio parlare proprio a quei ragazzi il giorno prima
dell’omicidio davanti alla sala giochi. Ma questa preziosa
testimonianza verrà poi ritrattata, l’uomo telefona al padre di Valerio
e si scusa: “Mi dispiace, ho un figlio di quindici anni…”, forse è
stato minacciato. Dopo poco tempo comunque cambia casa e se ne va dal
quartiere.

Il padre di Valerio Sardo Verbano, comunque non ha
intenzione di aspettare gli eventi: è un assistente sociale che lavora
per il Ministero degli Interni e pochi mesi dopo la morte del figlio
decide di svolgere delle indagini in proprio. Nasce così una sorta di
memoriale in cui fa tre ipotesi precise sulla morte di suo figlio
Valerio.

La prima ipotesi
Un primo
possibile movente, scrive Sardo, potrebbe essere legato allo scontro
avvenuto il 19 settembre 1978 a Piazza Annibaliano al quartiere Trieste
tra quattro autonomi e un gruppo di Terza Posizione facente parte dei
Nar e della cosiddetta “Legione”. Valerio per difendere un compagno
aggredito ferisce con una coltellata un ragazzo di destra Nanni De
Angelis . Valerio riceve una martellata nel petto. Dopo la
colluttazione tutti fuggono, ma rimane a terra la borsa di tolfa di
Valerio. Secondo Marcello de Angelis, il fratello di Nanni, in quella
borsa non c’era nulla che potesse far risalire al proprietario: solo un
goniometro e una penna. Secondo la madre di Valerio c’erano i documenti
del figlio e così gli aggressori hanno potuto sapere chi era e dove
abitava.

Il padre di Valerio dopo l’assassinio chiede un
incontro con Nanni De Angelis, che accetta, dal dialogo i genitori si
convincono che De Angelis non abbia nulla a che fare con la morte di
Valerio.

La seconda ipotesi
Un altro
movente che ipotizza il padre Sardo è legato a quel dossier che Valerio
stava preparando sui NAR, Terza Posizione e sull’estrema destra romana.
Forse vennero a sapere del dossier dopo l’arresto di Valerio nel 1979.
Riapparso e poi scomparso, che cosa ci fosse in quel dossier e che
importanza avesse per la destra eversiva non è ancora chiaro. Degli
appunti di Valerio Verbano restano solo delle fotocopie, l’originale è
stato sequestrato dagli inquirenti nel 1979 al momento dell’arresto,
poi è scomparso.

Dalle poche fotocopie fatte dalla Digos è
possibile comunque ricostruire una mappa della Destra a Roma. Un
materiale prezioso che avrebbe potuto portare gli inquirenti sulla
pista giusta.

Nel 1981 nell’ambito delle indagini sulla strage
di Bologna vengono fuori quasi per caso delle informazioni interessanti
anche per il caso Verbano. A parlare è Laura Lauricella, compagna di un
personaggio di spicco dell’estrema destra di quel periodo Egidio
Giuliani. La Lauricella decide di parlare tra le cose che racconta fa
riferimento a un silenziatore che il Giuliani avrebbe dato
all’assassino di Verbano. Lo scambio avvenne al poligono di Tor di
Quinto a Roma, dove molti neofascisti si incontrano. La Lauricella
racconta che Giuliani le avrebbe confidato che lui stesso aveva
costruito quel silenziatore e che lo avrebbe dato a un ragazzo che quel
giorno sparava vicino a lui . Quel ragazzo è Roberto Nistri membro di
spicco di Terza Posizione.

Il giudice Claudio d’Angelo che
indaga sull’omicidio Verbano interroga sia Nistri che Giuliani entrambi
negano ogni addebito e chiedono un confronto con la Lauricella, ma quel
confronto non ci sarà mai. Il 30 settembre 1982 Walter Sordi, ex
terrorista dei Nar pentito, fa nuove rivelazioni sul delitto Verbano
dice di aver raccolte le confidenze di un altro esponente dei Nar
Pasquale Belsito : “ fu Belsito a dirmi che a suo avviso gli autori
dell’omicidio Verbano erano da identificarsi nei fratelli Claudio e
Stefano Bracci e in Carminati Massimo. Il 25 gennaio 1984 nell’unico
interrogatorio a cui è sottoposto Claudio Bracci nega ogni addebito e
smentisce di conoscere Pasquale Belsito. In ottobre Massimo Carminati
rilascia identiche risposte.

Ai pentiti e ai collaboratori si
unisce anche Angelo Izzo, detenuto dal 1975, per i fatti del Circeo.
Izzo afferma di aver raccolto in carcere le confidenze di Luigi
Ciavardini, militante di terza Posizione poi passato a i Nar. “Luigi
Ciavardini mi disse che l’omicidio era da far risalire a militanti di
Terza Posizione, mi disse che il mandante era sicuramente Nanni de
Angelis, per quanto riguarda gli esecutori mi disse che sicuramente si
trattava di componenti del gruppo capeggiati da Fabrizio Zani. Solo un
pasticcione come Zani poteva perdere la pistola durante la
colluttazione con Verbano”.

Ma anche le parole di Izzo non
trovano nessun riscontro. Da tutta questa serie di pentiti non uscirà
nessun elemento concreto tutti gli indiziati verranno prosciolti nel
1989, l’inchiesta è chiusa.

 
La terza ipotesi
Il
padre di Verbano indica anche un altro possibile movente : “ nei giorni
precedenti al suo assassinio, mio figlio Valerio, potrebbe essere
venuto a conoscenza di un gruppo composto da autonomi e neofascisti che
svolgevano traffici di armi e droga. Questo gruppo venuto a conoscenza
che Valerio indagava su di loro avrebbe inviato i tre assassini per
interrogare Valerio e sapere quali nomi e fatti conoscesse”. Nel
memoriale Sardo Verbano scrive un nome che è la perfetta sintesi di
questa alleanza criminale tra rossi e neri, si tratta di Marco Guerra ,
un informatore di Valerio.

Sentito dal giudice il 20 marzo del
1987, Marco Guerra dichiara: “All’epoca dl delitto Verbano facevo parte
di un gruppo di giovani che si riconoscevano nel Movimento Comunista
rivoluzionario, fino al 1978 avevo militato nella destra
extraparlamentare, ma poi confluimmo nel movimento comunista
rivoluzionario”. Prima di aderire all’estrema sinistra Marco Guerra
frequenta il gruppo di estrema destra capeggiato da Egidio Giuliani e
Armando Colantoni. Secondo gli investigatori questo gruppo avrebbe
tentato un approccio con formazioni del terrorismo rosso per esaminare
la possibilità di una strategia comune.

Questa terza ipotesi
non è stata mai presa in considerazione e non c’è comunque nessuna
prova che Valerio Verbano sia stato ucciso da un gruppo misto rosso e
nero, uniti per eliminare un ragazzo troppo curioso che forse aveva
scoperto troppo.

Un altro elemento…trascurato dagli inquirenti.
Il
28 maggio del 1980 tre mesi dopo l’omicidio Verbano un commando dei NAR
uccide Franco Evangelista, detto "Serpico", agente di guardia davanti
al liceo Giulio Cesare. Da queste indagini esce un elemento che
potrebbe essere significativo anche per l’omicidio Verbano . Durante le
indagini finisce nella rete un ragazzino di sedici anni Elio De Scala,
soprannominato “Kapplerino”, nella sua abitazione viene trovato un vero
e proprio arsenale: tre pistole , dieci silenziatori centinaia di
pallottole, sul comodino le chiavi di un auto rubata usata per due
sanguinose rapine.

Ma c’è un elemento che non quadra: la
rivendicazione di quelle due rapine sono firmate dai NAR, ma la
rivendicazione del furto di quell’automobile era stata firmata dalla
sigla “Proletari Organizzati. Gruppo Valerio Verbano” in un linguaggio
intriso del linguaggio dell’estrema sinistra. Il gruppo “Proletarii
organizzati” scrivono i giornali è una sigla per depistare le indagini.
E’ una novità che potrebbe gettare luce sul delitto di Via Montebianco.
Eppure non si muove nulla, non ci sono indagini mirate, interrogatori
nel fascicolo dell’istruttoria non c’è alcun riferimento.

La lettera della madre di Valerio a Pasquale Belsito
Ma
la madre di Valerio non si arrende ancora, ha deciso di scrivere
all’ultimo irriducibile dei Nar Pasquale Belsito, arrestato nel 2001 in
Spagna e estradato in Italia nel 2005, per chiedergli aiuto:

Durante
questi anni non ho mai perso la speranza di poter conoscere la verità
sull’omicidio di mio figlio, mi rivolgo a lei Pasquale Belsito perché
ha conosciuto e frequentato gli ambienti di estrema destra: Nar, Terza
Posizione. Chi meglio di lei conosce la storia di quel particolare
momento. Lei ha oggi quarantaquattro anni, gli stessi che avrebbe il
mio Valerio, è in carcere da quasi quattro anni e mezzo, non so quanta
pena debba scontare complessivamente, credo però che ne passeranno
molti prima che possa riprendere la sua vita. Spero che lei sappia
qualcosa e che abbia voglia di raccontarlo a una madre in cerca della
verità. Non voglio vendetta ma solo giustizia, quella che è stata
negata fino ad ora dal silenzio assordante che ha coperto l’assassinio
di mio figlio. Credo che la decisione di raccontare le cose come stanno
potrebbe portare sollievo anche a lei
”. 

                                                                                       (Pina Carla Verbano).

 
 
 
 
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