Sabato si avvicina. Si torna in piazza per protestare contro le sentenze di Genova nel 2001, ma si torna in strada per non lasciare solo chi oltre che le botte, le torture, le sopraffazioni, vede la propria vita rovinata dalla logica sbagliata di un sistema economico sempre più gerarchico. Ma altre sentenze vengono emesse, altre vite rovinate, quelle di chi pensa che il fascismo dovrebbe scomparire dalla faccia della terra e rimanere come monito nel passato che gli appartiene.
Comunicato sulla sentenza d’appello per i fatti dell11 marzo
DEVASTANO le nostre VITE E SACCHEGGIANO il nostro FUTURO
60 anni di carcere per 15 degli antifascisti arrestati l’11 marzo 2006.
Due le assoluzioni per non aver commesso il fatto, una condanna a 4 mesi per porto d’arma impropria. Questo il risultato del processo d’appello che si è concluso oggi a Milano dove, in sostanziale continuità con la sentenza di primo grado,
viene confermato il reato di devastazione e saccheggio. Un chiaro
messaggio a tutti coloro che si erano illusi della possibilità, a due
anni dai fatti, di una derubricazione del capo d’imputazione. La linea tenuta dalla magistratura conferma la volontà di colpire duramente, attraverso l’utilizzo del concorso morale in devastazione e
saccheggio, le manifestazioni di dissenso e scontro di piazza. Così per
Genova, così per Torino, e così sarà d’ora in avanti…
Un processo che ha voluto essere fin dall’inizio un processo politico
sia nella scelta dei capi di imputazione, che nell’utilizzo
indiscriminato della carcerazione preventiva (4 mesi in galera seguiti più 3 mesi di domiciliari e altri di obblighi di firma), e infine nelle
motivazioni della sentenza di condanna confermata dalla corte d’appello. Quell’11 marzo, a seguito dell’autorizzazione a sfilare concessa dalle
autorità cittadine ai nazifascisti della Fiamma Tricolore scoppiarono
scontri tra gli antifascisti, scesi in piazza per impedire la
vergognosa manifestazione, e la polizia. Agli arresti e alle condanne si è associato il meccanismo di demonizzazione attraverso i mezzi di informazione, con il consueto atteggiamento da “sbatti il mostro in prima pagina”, cercando così d’isolare gli imputati dal tessuto sociale che li circonda e spezzare la solidarietà.
nostra verità a quella processuale e mediatica oggi a Milano come a
Genova, altro processo in cui l’accusa chiede condanne esemplari (per
un totale di 225 anni di carcere), sempre attraverso l’utilizzo della
devastazione e saccheggio.
giornate del luglio 2001 sono un pezzo della nostra storia, della
nostra memoria, a cui tocca tornare se vogliamo comprendere
l’evoluzione e il consolidamento dei disegni repressivi e delle derive
securitarie in atto oggi in Italia e non solo. Mai come nel caso di
Genova il sistema calò la maschera, mostrandosi in tutta la sua
brutalità, con la violenza in divisa che culminò nella mattanza alla
scuola Diaz.
torture nelle caserme venivano promossi di grado, chi quei giorni era
in strada per manifestare si trovava alla sbarra a doversi difendere da
accuse pesantissime. L’impunità dei picchiatori in divisa non fu un
passo verso l’avvallamento dei disegni di una destra autoritaria che si
apprestava a governare l’Italia per 5 anni, seminando paure per poi
proporre soluzioni forti, consistenti nell’aumento del controllo
sociale ai danni di chi si sceglie di opporsi a un sistema ingiusto,
prepotente e autoritario. In questi sei anni abbiamo visto cambiare radicalmente le nostre città, con una continua esasperazione del bisogno di sicurezza cavalcato da
politici e mass media, che si è tradotto in una crescente
militarizzazione del territorio, nella continua criminalizzazione delle
diverse forme di dissenso, nell’accanimento contro le fasce più deboli
e marginali della popolazione e in un rigurgito di razzismi e
autoritarismi. Una prassi reiterata dal governo attuale, e in
particolare dai rappresentanti del Partito Democratico.
messa alla sbarra e dobbiamo quindi costruire intorno alla vicenda
processuale un forte momento di risposta e di lotta.
la massima solidarietà e complicità con i 25 imputati e per rivendicare
ad alta voce il nostro rifiuto per una società che sembra assomigliare
ogni giorno di più a una prigione.
Mai liberi finchè l’ultimo sarà schiavo!
Libereribelli
Da www.ecn.org/antifa